Abitare ed edificare le città
da Prospettive 153
terzo trimestre 2015
Dire «città dell’uomo a misura d’uomo», è subito porre l’uomo al suo posto e si
può su di esso fissare l’attenzione come su colui dal quale la città prende vita e
verso il quale la città è volta come a proprio fine.
Delle città – nessuna esclusa – è punto di partenza o attore l’uomo. E lo è in
quanto irriducibile a essere solo individuo, ma in quanto persona. Infatti, anche
un sasso, una pianta, un animale è individuo, ma non persona.
Giuseppe Lazzati, La città dell’uomo
Oggi viviamo in contesti frenetici e frammentati, in un tessuto sociale sempre più debole. Ciò porta gravi conseguenze anche nel modo in cui viene vissuta la città: è sempre più forte la percezione di scollamento tra la caotica e frenetica città che viviamo ogni giorno e la città “ideale”, quel “tutto armoniosamente unito” di cui parlava La Pira contemplando Firenze dalla Basilica di San Miniato a Monte. Dobbiamo, allora, confrontarci con una serie di interrogativi: come abitare oggi la città? Come sentirsi cittadini di un aggregato umano che chiama l’uomo a porsi in relazione e creare legami solidali? Come essere cittadini responsabili dell’edificazione materiale, morale e spirituale della propria comunità? Come vivere le dimensioni di solidarietà e della comunione quando la proposta dominante va verso un marcato individualismo? Una delle grandi sfide del nostro tempo è, come ci ha ricordato Papa Francesco, riconoscere che “il tutto è superiore alla parte” (cfr. Evangelii Gaudium §§ 234-237), non perché la parte debba essere fagocitata dal tutto; ma perché il tutto – la comunità cittadina – non è formata dalla mera somma delle parti i cittadini – che la abitano: “Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi” (Evangelii Gaudium § 235). È sbagliato intendere la città come una comunità monolitica di cui sentirsi o meno partecipi. La città è invece l’insieme di comunità più piccole, intermedie tra l’intera comunità cittadina e l’individuo: comunità familiari, associative, parrocchiali, lavorative, etc. Dalle rete di relazioni che si instaurano tra cittadini, tra cittadini e “comunità intermedie” e tra le “comunità intermedie” stesse deriva il “qualcosa in più” della città che permette che ad abitarle siano persone e non individui. È importante sottolineare che ritenere il tutto superiore alla parte non significa avallare un’impostazione per cui la città – e più in generale ogni comunità – sia di per sé superiore, gerarchicamente anteposta alla persona; al contrario significa che la persona ha la possibilità di realizzarsi a pieno solo partecipando all’edificazione della comunità cittadina. Questo è, forse, il significato da attribuire alla celebre frase di La Pira in occasione dell’inaugurazione del quartiere dell’Isolotto: “Non case ma Città”: non luoghi in cui vivere in solitudine, ma spazi in cui la persona possa realizzarsi appieno nella relazione.
Nel linguaggio comune, viene fatto grande uso dell’espressione “città a misura d’uomo”. È opportuno però specificare, alla luce di quanto detto finora, cosa debba intendersi con tale espressione. Infatti, se la città ha come artefice e come fine la persona, edificare una città a misura d’uomo non vuol dire semplicemente organizzare infrastrutture e servizi in modo efficiente, ma significa assumente come metro di valutazione delle scelte di governo della città (quindi politiche!) le concrete necessità di ordine materiale, relazione e spirituale delle persone che abitano la città. Infatti, se la città è realtà relazione per eccellenza, abitarla ed edificarla la significa avvertire quotidianamente la necessità che ognuno se ne prenda cura di essa, ossia che ognuno pensi ed agisca politicamente: “L’espressione ‘costruire la città dell’uomo a misura d’uomo’ è da me preferita a quella ricorrente ed equivalente nel significato ultimo, ma scaduta nel suo valore espressivo; quella, cioè, di ‘fare politica’” (G. Lazzati, La città dell’Uomo). È, dunque, la politica il segno distintivo di una città abitata da persone e non da individui, una politica fatta da tutti i cittadini, ognuno secondo le proprie specifiche responsabilità. Le scelte politiche non sono, tuttavia, date una volta per tutte, immutabili nel tempo e nello spazio. Al contrario esse sono, per definizione, storicamente connotate. In questo senso, è illuminante un altro richiamo di Papa Francesco: “La realtà è superiore all’idea” (Evangelii Gaudium, §§ 231-233). Infatti è nella città che le persone vivono, coltivano le loro speranze, condividono le difficoltà. Fare politica nella e per la città significa avere a che fare con i problemi reali delle persone, con la carne viva della comunità, come ci ricorda La Pira, con un articolo apparso nel maggio del 1954 in risposta a don Sturzo: “davanti a questi ‘feriti, buttati a terra dai ladroni’ – come dice la parabola lucana del Samaritano – cosa dovrebbe fare il sindaco, cioè il capo ed in un certo modo il padre ed il responsabile della comune famiglia cittadina? Può lavarsi le mani, dicendo a tutti ‘scusate, non posso interessarmi a voi perché non sono uno statalista ma un interclassista’?”.
Le città sono vive, sono realtà dinamiche, perché abitate da persone reali, qui ed ora. Edificare la città dell’uomo a misura d’uomo, e dunque fare politica, significa guardare tanto al presente quanto al futuro. Da una parte, infatti, è necessario dare risposte alle esigenze contingenti delle persone che abitano la città, specie le più fragili; dall’altra l’incessante opera di edificazione richiede una prospettiva che vada oltre alla contingenza, che abbia il coraggio di sognare una città diversa e migliore. Soprattutto oggi, le scelte nell’amministrazione della città appaiono complesse nei mezzi e incerte nei risultati, dovendosi districare tra i vincoli di bilancio imposti dalla crisi economica, la dissoluzione del tessuto sociale e il senso di distacco dalle istituzioni di gran parte della cittadinanza. In più, le città sono oggi chiamate ad affrontare sfide impegnative. Esse, in parte, appaiono del tutto inedite, altre sono invece questioni a lungo rimandate e messe ai margini dell’agenda. […] La scelta del tema (di questo numero, ndr) vuole mettere in evidenza un altro aspetto di grande attualità per la città, ossia la sua vocazione all’apertura e alla pace, ricordando il 60esimo anniversario del Convegno dei Sindaci delle Capitali del Mondo che La Pira organizzò a Firenze nel 1955 ed in preparazione alla “riedizione” che si terrà a Firenze il prossimo novembre.
Editoriale di Prospettive 153
Terzo trimestre 2015