Viaggio in Terra Santa 5-9 Novembre 2003 – DIARIO
2 novembre, cimitero di Rifredi
Il viaggio-pellegrinaggio inizia da qui, dalla tomba di La Pira. Andiamo in Terra Santa “sulle sue orme”. Occorre fondare qui il ponte di preghiera e di pace che intendiamo realizzare. Mario Primicerio ci incoraggia e ci ringrazia: il centenario di La Pira comincia in un certo senso con questo nostro viaggio. Saranno i giovani ad inaugurarlo in Terra Santa, in comunione spirituale con quanti saranno a Firenze nella Basilica di San Marco il 5 novembre.
5 novembre, Firenze – Gerusalemme
Si parte al mattino presto, alcuni in piena notte, chi da Firenze, chi da Bologna. Siamo 79. I primi saluti, l’emozione è forte. In chi ci accompagna in aeroporto c’è forse anche un po’ di preoccupazione: in Terra Santa in questo momento! A farci comprendere la realtà è la perquisizione all’aeroporto di Francoforte, dove quasi tutto il gruppo si ricongiunge: ci stiamo imbarcando per Israele, le misure di sicurezza appaiono fin da qui molto severe. Viaggiamo su un enorme 747, il volo in pieno giorno è uno spettacolo di panorami e di luce. Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv: il controllo dei passaporti è macchinoso ed a tratti irritante. La prima difficoltà: mancano diverse valigie, che ci verranno recapitate il giorno seguente; conosciamo i nostri autisti, entrambi arabi cristiani. Qui è praticamente estate.
Finalmente Gerusalemme: “Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore! Ora i miei piedi si fermano davanti a te, Gerusalemme!”.Ore 18, entriamo nella Basilica del Santo Sepolcro.
Nella cappella dell’Apparizione a Maria ci attende già Mons. Pietro Sambi, Nunzio apostolico in Israele: celebriamo la S. Messa nel giorno anniversario della morte del prof. La Pira qui, nel luogo della Resurrezione. In fondo tutte le “ipotesi di lavoro” di La Pira partono dal “fatto materiale” della Resurrezione di Cristo (“i veri materialisti siamo noi che crediamo nella Resurrezione di Cristo!”), punto centrale e finale della storia dell’umanità. Il Nunzio traccia un ritratto appassionato e profondo del professore. Ceniamo insieme; dopo cena un momento di incontro, anche se la stanchezza comincia ad essere tanta. Ma basta iniziare e comprendiamo di avere davanti una persona di valore non solo per il ruolo che ricopre. La testimonianza del Nunzio è molto bella (e molto poco “diplomatica”: il clima è quello di un incontro fra amici e per nulla formale) ed è “in presa diretta” sugli avvenimenti del giorno: ci illustra la posizione di Israele, dei palestinesi e l’azione della Santa Sede; dà una sua lettura dei fatti (“i muri allontanano la pace: bisogna abbatterli non costruirli”). Ci esprime due preoccupazioni: per i giovani che qui, più che “annunziare” la primavera, paiono oggi attratti dagli estremismi, su entrambi i fronti. La seconda riguarda l’atteggiamento delle due parti: ambedue guardano al futuro e non manifestano un interesse sostanziale a risolvere il conflitto in atto, poiché sperano di essere in grado, per motivi opposti, di imporre domani la pace all’altro. Il dramma quindi è che nessuno lavora per realizzare la pace oggi. Avevamo iniziato illustrando i motivi del nostro viaggio: ci incoraggia. Spes contra spem!
Finalmente Gerusalemme: “Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore! Ora i miei piedi si fermano davanti a te, Gerusalemme!”.Ore 18, entriamo nella Basilica del Santo Sepolcro.
Nella cappella dell’Apparizione a Maria ci attende già Mons. Pietro Sambi, Nunzio apostolico in Israele: celebriamo la S. Messa nel giorno anniversario della morte del prof. La Pira qui, nel luogo della Resurrezione. In fondo tutte le “ipotesi di lavoro” di La Pira partono dal “fatto materiale” della Resurrezione di Cristo (“i veri materialisti siamo noi che crediamo nella Resurrezione di Cristo!”), punto centrale e finale della storia dell’umanità. Il Nunzio traccia un ritratto appassionato e profondo del professore. Ceniamo insieme; dopo cena un momento di incontro, anche se la stanchezza comincia ad essere tanta. Ma basta iniziare e comprendiamo di avere davanti una persona di valore non solo per il ruolo che ricopre. La testimonianza del Nunzio è molto bella (e molto poco “diplomatica”: il clima è quello di un incontro fra amici e per nulla formale) ed è “in presa diretta” sugli avvenimenti del giorno: ci illustra la posizione di Israele, dei palestinesi e l’azione della Santa Sede; dà una sua lettura dei fatti (“i muri allontanano la pace: bisogna abbatterli non costruirli”). Ci esprime due preoccupazioni: per i giovani che qui, più che “annunziare” la primavera, paiono oggi attratti dagli estremismi, su entrambi i fronti. La seconda riguarda l’atteggiamento delle due parti: ambedue guardano al futuro e non manifestano un interesse sostanziale a risolvere il conflitto in atto, poiché sperano di essere in grado, per motivi opposti, di imporre domani la pace all’altro. Il dramma quindi è che nessuno lavora per realizzare la pace oggi. Avevamo iniziato illustrando i motivi del nostro viaggio: ci incoraggia. Spes contra spem!
6 novembre, Betlemme – Gerusalemme
Partiamo alle 7 per Betlemme. Davanti a noi il monte Sion “fortezza inespugnabile, baluardo del Signore!”. Sappiamo che non sarà facile entrare a Betlemme ed infatti la strada è subito bloccata. Ci sono imponenti misure di sicurezza a protezione della tomba di Rachele, dove sono riuniti centinaia di ebrei osservanti: non si passa.
Non desistiamo e ci dirigiamo verso Beit Jala, dove c’è l’altro accesso ai territori. Ci rendiamo conto che Betlemme è praticamente circondata (filo spinato, barriere di cemento, soldati); il valico è una frontiera vera e propria, ci sono rovine dappertutto. Pare impossibile entrare anche da qui: soldati israeliani in assetto di guerra controllano con lentezza esasperante tutto e tutti. L’accesso ai territori è davvero blindato. Improvvisamente un uomo viene verso di noi e districando i pullman nell’ingorgo inverosimile che si è creato ci apre la strada verso il posto di “frontiera”: i soldati si spostano, passiamo senza neppure un controllo. Più tardi sapremo da padre Ibrahim che la nostra entrata è stata oggetto di quattro giorni di trattativa con le autorità militari: l’ultima telefonata con il via libera è arrivata proprio mentre eravamo in attesa. Entriamo nei territori, ci sono tantissimi bambini che a vanno a scuola. E’ sotto i nostri occhi una delle più forti preoccupazioni di Israele: la crescita demografica dei palestinesi. Al “Terra Sancta College” ci attende padre Ibrahim. E’ la scuola dei padri francescani: mille bambini e ragazzi, di cui un quarto musulmani, tutti ugualmente aiutati a costruire un futuro di dignità in questa situazione per certi aspetti terribile. Ci spiega che per le bambine c’è un istituto analogo, sempre di queste dimensioni, tenuto dalle suore. Visitiamo le varie classi: è una meraviglia, un vero miracolo per la situazione in cui si trovano ad operare. La scuola è molto grande. In alcune classi gli studenti (da tre a diciotto anni) ci salutano cantando; è un tripudio di sorrisi. Celebriamo la S. Messa di Natale a Santa Caterina. Da lì scendiamo nella grotta della Natività. La stella del luogo della nascita, la mangiatoia: tutto nasce da lì. E’ un’emozione fortissima, la preghiera si fa intensa. Siamo praticamente soli con i monaci ortodossi. Attraversiamo la piazza e ci rechiamo in visita alla moschea. Siamo nel Ramadan; all’ultimo momento, dopo il diniego annunciato il giorno prima, vengono ammesse anche le donne del gruppo, che si coprono il capo in segno di rispetto. Spieghiamo brevemente il motivo della nostra visita: il cammino di unità della triplice famiglia di Abramo. C’è l’Imam con tutti i responsabili della comunità locale; in segno di omaggio viene “convocato” il muezzin che, “in diretta”, canta il richiamo rituale alla preghiera dal minareto (“lasciate tutto…lode al Signore ed al Suo Profeta”). E’ un incontro semplice ma importantissimo, ci vengono rivolte parole che evidentemente non sono di circostanza. Lasciamo in dono all’Imam un libro contenente le immagini della vita di La Pira; contraccambia distribuendo a tutti un breve testo teologico. Padre Ibrahim ci dice che è la prima volta, a sua memoria, che un gruppo viene ricevuto ufficialmente in moschea: e con quale cordialità! Ci dice che in qualche modo il clima, con i musulmani, è cambiato dopo l’assedio alla Natività. Oggi davvero per tutta Betlemme è una festa. Torniamo dai francescani e padre Ibrahim ci ricorda i giorni e le emozioni dell’assedio della Basilica della Natività (o meglio, come precisa, dell’occupazione e poi dell’assedio). Ci racconta di quelle ore, degli spari, degli otto morti, infine della telefonata del Papa (“siate forti, prego per voi”), di come si sia trovata una soluzione che pareva impossibile. Pranziamo insieme; lanciamo l’idea di far venire in Italia, insieme, un gruppo di giovani palestinesi ed ebrei. Ci dice che non è facile, ma l’idea lo entusiasma. Resteremo in contatto.
Ripartiamo ed è nuovamente un problema uscire dai territori. Dopo un’ora e quaranta minuti di coda esasperante alla “frontiera” (pensiamo a coloro che devono affrontarla tutti i giorni…), arriviamo al posto di blocco: un soldato armato di tutto punto, non contento delle spiegazioni dell’autista, sale sul pullman per controllare. E’ giovanissimo, nei suoi occhi c’è forse anche un velo di paura. Tre anni di servizio di leva in queste condizioni, il terrore dietro l’angolo. Sventoliamo i passaporti, non si addentra, controlla solo quello di don Angelo. Si scioglie e sorride: italians! Scende e saluta noi e l’altro pullman.Rientriamo a Gerusalemme. Prima della città, sul bordo della strada vediamo qualche decina di palestinesi in attesa di entrare sotto il controllo della polizia. Ci viene spiegato che è la norma: ore ed ore di attesa. Verso il Muro Occidentale (il “Muro del Pianto”): ci fermiamo al tramonto lungo le mura davanti al Monte degli Ulivi: dai minareti risuona il richiamo alla preghiera dei muezzin.
Entriamo al Muro. Preghiamo anche noi mescolati agli ebrei ortodossi. E’ un luogo sacro e si avverte. Contempliamo il mistero di Dio. Usciamo e più in alto, verso il quartiere ebraico, ammiriamo, è ormai notte, il Muro illuminato e la cupola dorata della Moschea di Omar in tutto il suo splendore. E’ l’unico Dio.
Non desistiamo e ci dirigiamo verso Beit Jala, dove c’è l’altro accesso ai territori. Ci rendiamo conto che Betlemme è praticamente circondata (filo spinato, barriere di cemento, soldati); il valico è una frontiera vera e propria, ci sono rovine dappertutto. Pare impossibile entrare anche da qui: soldati israeliani in assetto di guerra controllano con lentezza esasperante tutto e tutti. L’accesso ai territori è davvero blindato. Improvvisamente un uomo viene verso di noi e districando i pullman nell’ingorgo inverosimile che si è creato ci apre la strada verso il posto di “frontiera”: i soldati si spostano, passiamo senza neppure un controllo. Più tardi sapremo da padre Ibrahim che la nostra entrata è stata oggetto di quattro giorni di trattativa con le autorità militari: l’ultima telefonata con il via libera è arrivata proprio mentre eravamo in attesa. Entriamo nei territori, ci sono tantissimi bambini che a vanno a scuola. E’ sotto i nostri occhi una delle più forti preoccupazioni di Israele: la crescita demografica dei palestinesi. Al “Terra Sancta College” ci attende padre Ibrahim. E’ la scuola dei padri francescani: mille bambini e ragazzi, di cui un quarto musulmani, tutti ugualmente aiutati a costruire un futuro di dignità in questa situazione per certi aspetti terribile. Ci spiega che per le bambine c’è un istituto analogo, sempre di queste dimensioni, tenuto dalle suore. Visitiamo le varie classi: è una meraviglia, un vero miracolo per la situazione in cui si trovano ad operare. La scuola è molto grande. In alcune classi gli studenti (da tre a diciotto anni) ci salutano cantando; è un tripudio di sorrisi. Celebriamo la S. Messa di Natale a Santa Caterina. Da lì scendiamo nella grotta della Natività. La stella del luogo della nascita, la mangiatoia: tutto nasce da lì. E’ un’emozione fortissima, la preghiera si fa intensa. Siamo praticamente soli con i monaci ortodossi. Attraversiamo la piazza e ci rechiamo in visita alla moschea. Siamo nel Ramadan; all’ultimo momento, dopo il diniego annunciato il giorno prima, vengono ammesse anche le donne del gruppo, che si coprono il capo in segno di rispetto. Spieghiamo brevemente il motivo della nostra visita: il cammino di unità della triplice famiglia di Abramo. C’è l’Imam con tutti i responsabili della comunità locale; in segno di omaggio viene “convocato” il muezzin che, “in diretta”, canta il richiamo rituale alla preghiera dal minareto (“lasciate tutto…lode al Signore ed al Suo Profeta”). E’ un incontro semplice ma importantissimo, ci vengono rivolte parole che evidentemente non sono di circostanza. Lasciamo in dono all’Imam un libro contenente le immagini della vita di La Pira; contraccambia distribuendo a tutti un breve testo teologico. Padre Ibrahim ci dice che è la prima volta, a sua memoria, che un gruppo viene ricevuto ufficialmente in moschea: e con quale cordialità! Ci dice che in qualche modo il clima, con i musulmani, è cambiato dopo l’assedio alla Natività. Oggi davvero per tutta Betlemme è una festa. Torniamo dai francescani e padre Ibrahim ci ricorda i giorni e le emozioni dell’assedio della Basilica della Natività (o meglio, come precisa, dell’occupazione e poi dell’assedio). Ci racconta di quelle ore, degli spari, degli otto morti, infine della telefonata del Papa (“siate forti, prego per voi”), di come si sia trovata una soluzione che pareva impossibile. Pranziamo insieme; lanciamo l’idea di far venire in Italia, insieme, un gruppo di giovani palestinesi ed ebrei. Ci dice che non è facile, ma l’idea lo entusiasma. Resteremo in contatto.
Ripartiamo ed è nuovamente un problema uscire dai territori. Dopo un’ora e quaranta minuti di coda esasperante alla “frontiera” (pensiamo a coloro che devono affrontarla tutti i giorni…), arriviamo al posto di blocco: un soldato armato di tutto punto, non contento delle spiegazioni dell’autista, sale sul pullman per controllare. E’ giovanissimo, nei suoi occhi c’è forse anche un velo di paura. Tre anni di servizio di leva in queste condizioni, il terrore dietro l’angolo. Sventoliamo i passaporti, non si addentra, controlla solo quello di don Angelo. Si scioglie e sorride: italians! Scende e saluta noi e l’altro pullman.Rientriamo a Gerusalemme. Prima della città, sul bordo della strada vediamo qualche decina di palestinesi in attesa di entrare sotto il controllo della polizia. Ci viene spiegato che è la norma: ore ed ore di attesa. Verso il Muro Occidentale (il “Muro del Pianto”): ci fermiamo al tramonto lungo le mura davanti al Monte degli Ulivi: dai minareti risuona il richiamo alla preghiera dei muezzin.
Entriamo al Muro. Preghiamo anche noi mescolati agli ebrei ortodossi. E’ un luogo sacro e si avverte. Contempliamo il mistero di Dio. Usciamo e più in alto, verso il quartiere ebraico, ammiriamo, è ormai notte, il Muro illuminato e la cupola dorata della Moschea di Omar in tutto il suo splendore. E’ l’unico Dio.
Incontriamo al “Casa Nova” Emanuela Dviri. Ci appare una donna forte e determinata. Ha perso un figlio soldato in Libano, ma riesce ad essere equilibrata, nonostante tutto.
E’ una delle “voci” ebree concretamente impegnate nel dialogo. Ci dice che qualunque cosa pensiamo di fare, dobbiamo farla per tutti e due, palestinesi ed israeliani: è l’unico e realistico modo di fare la pace, non solo di parlarne. Sottolinea come si trova, tutti i giorni, ad
operare per la pace, con persone molto diverse da lei. Forse le contraddizioni delle diversità potranno, un giorno, recare il dono di una pace che, per ora, resta un mistero.
E’ una delle “voci” ebree concretamente impegnate nel dialogo. Ci dice che qualunque cosa pensiamo di fare, dobbiamo farla per tutti e due, palestinesi ed israeliani: è l’unico e realistico modo di fare la pace, non solo di parlarne. Sottolinea come si trova, tutti i giorni, ad
operare per la pace, con persone molto diverse da lei. Forse le contraddizioni delle diversità potranno, un giorno, recare il dono di una pace che, per ora, resta un mistero.
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7 novembre, Gerusalemme – Nazareth
Al mattino prestissimo al Santo Sepolcro. Risuonano tutte le liturgie cristiane. Preghiera sul Golgota e davanti al Sepolcro. Monte degli Ulivi: davanti a noi Gerusalemme! E’ venerdì (nel Ramadan). Davanti a noi la spianata del tempio si riempie di fedeli. Entriamo nell’Orto degli Ulivi, ci sono piante millenarie. S. Messa al Getsemani: don Giovanni ci ricorda la sofferenza di Pino, offerta al Signore. Alla tomba vuota di Maria, cantando il “Salve Regina”. Qualcuno depone sulla pietra la preghiera a “Maria, Regina della pace” che stiamo recitando in questi giorni. E’ il momento dell’omaggio al popolo di Israele. Prima andiamo alla tomba di Rabin, sulla collina degli eroi: è l’omaggio ad un giusto. Poi a Yad Vashem, memoriale di Israele. Percorriamo il “viale dei giusti” fino alla Hall of Remembrance. La fiaccola brucia sopra al pavimento con i nomi di tutti i luoghi dello sterminio: Treblinka, Sobibor, Auschwitz… Sei milioni di morti. Poi al memoriale dei bambini ed è un’esperienza che non dimenticheremo: buio completo e dappertutto candele accese come tante piccole stelle. In sottofondo il battito del cuore che ogni tanto si interrompe. Diverse voci si alternano leggendo i nomi di tutti i bambini sterminati: è un elenco con un milione e mezzo di nomi. Nel pomeriggio entriamo nel deserto della Giudea (ci fermiamo a Wadi Qelt, in un punto panoramico, e leggiamo le parole di Mosè, dei profeti e dei salmi: l’esperienza di silenzio è indimenticabile). Lungo la valle del Giordano vediamo Gerico, città attualmente isolata. Eccoci a Nazareth e l’accoglienza è cordialissima. Subito l’incontro con il Sindaco Ramez Jaraisy, arabo cristiano. Siamo qui nel nome di La Pira per l’unità della famiglia di Abramo. Risponde a lungo in modo appassionato e non di circostanza: siamo tutti nazareni! Ci invita ad essere operatori di pace, a sperare anche se i tempi sono difficili. Arriva il Vescovo Marcuzzo, che cena con noi. E’ un personaggio di una energia incredibile. Lo incontriamo più a lungo dopo cena ed anche con lui l’incontro non è di circostanza. Ci dice che la nostra presenza vuol dire che la pace è possibile. Non è una cosa scontata. Ci dice chiaramente che qui l’ingiustizia perdura. Che finchè perdura, senza che ai palestinesi vengano riconosciuti i loro diritti, non vi sarà mai la pace. Che senza l’aiuto della comunità internazionale ciò non sarà mai possibile. Concludiamo cantando e mangiando insieme mandorle (simbolo di fedeltà, nel libro di Geremia la fedeltà all’Alleanza) e fichi secchi (simbolo dell’amore per la Parola di Dio, nella Bibbia e nel Talmud).
8 novembre, Nazareth e Galilea
Davanti a noi pianure fertilissime. Leggiamo la parabola del seminatore. Lago di Tiberiade: è un luogo bellissimo, la “porta del paradiso” per gli antichi. Cafarnao: la sinagoga, la casa di Pietro. Gran parte della vita pubblica di Gesù è avvenuta in questi pochi metri. Leggiamo vari episodi del Vangelo. La Chiesa del primato di Pietro: è il luogo della fedeltà e dell’inizio. “Tocchiamo” il lago, su cui si riflette il sole. Tabgha, festa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci. S. Messa solenne celebrata dal Patriarca Sabbah, in gran parte in arabo. Ci saluta ringraziandoci di essere venuti: ci incoraggia a credere che la pace è possibile nonostante tutto. Spes contra spem. Pranziamo al kibbutz di Ein Ghev, in riva al lago.
Attraversiamo in battello il lago di Tiberiade: ci fermiamo in mezzo al lago e leggiamo il Vangelo: Gesù cammina sulle acque. Il lago è anche abbastanza “mosso”. Il vento soffia un po’. Sullo sfondo le rive verdeggianti, Tiberiade, il Golan. E’ davvero un momento di grande raccoglimento. Scendiamo a Tiberiade ed è un altro mondo: musica assordante. E’ sabato ed è festa, ma qui molto “laica”. E’ solo un attimo, saliamo al Tabor accompagnati da tassisti beduini un po’ agitati. Siamo ormai al tramonto ed hanno fretta: sta per finire
l’astinenza ed il digiuno imposto dal Ramadan. Leggiamo l’episodio della Trasfigurazione. E’ ormai sera e fa freddo. Torniamo a Nazareth: nonostante l’ora i frati francescani ci aprono le porte della Basilica dell’Annunciazione. Ci accoglie padre Samir: ci mostra su di un lato del loggiato una lapide con un bassorilievo di La Pira. E’ stato collocato da qualche settimana. Ci dice: siete a casa vostra! Recitiamo il rosario davanti alla grotta, preghiamo per la pace. A cena sono con noi un gruppo di giovani arabi cristiani accompagnati da un padre salesiano; conosciamo le difficoltà e le storie di questi ragazzi. Dopo cena incontro e grande festa insieme: basta davvero poco per fare amicizia. In fondo è solo un arrivederci: anche qui lanciamo il nostro invito ad un incontro in Italia! La stanchezza di questi giorni intensissimi comincia a farsi sentire; ci si rilassa un po’ a firmare le cartoline per tutti gli amici rimasti in Italia. Ne scriviamo 460!
Si ride, si è contenti: alla fine anche padre Daniele, responsabile del “Casa Nova”, a cui in questi giorni abbiamo fatto letteralmente girar la testa, si scioglie e sorride.
Attraversiamo in battello il lago di Tiberiade: ci fermiamo in mezzo al lago e leggiamo il Vangelo: Gesù cammina sulle acque. Il lago è anche abbastanza “mosso”. Il vento soffia un po’. Sullo sfondo le rive verdeggianti, Tiberiade, il Golan. E’ davvero un momento di grande raccoglimento. Scendiamo a Tiberiade ed è un altro mondo: musica assordante. E’ sabato ed è festa, ma qui molto “laica”. E’ solo un attimo, saliamo al Tabor accompagnati da tassisti beduini un po’ agitati. Siamo ormai al tramonto ed hanno fretta: sta per finire
l’astinenza ed il digiuno imposto dal Ramadan. Leggiamo l’episodio della Trasfigurazione. E’ ormai sera e fa freddo. Torniamo a Nazareth: nonostante l’ora i frati francescani ci aprono le porte della Basilica dell’Annunciazione. Ci accoglie padre Samir: ci mostra su di un lato del loggiato una lapide con un bassorilievo di La Pira. E’ stato collocato da qualche settimana. Ci dice: siete a casa vostra! Recitiamo il rosario davanti alla grotta, preghiamo per la pace. A cena sono con noi un gruppo di giovani arabi cristiani accompagnati da un padre salesiano; conosciamo le difficoltà e le storie di questi ragazzi. Dopo cena incontro e grande festa insieme: basta davvero poco per fare amicizia. In fondo è solo un arrivederci: anche qui lanciamo il nostro invito ad un incontro in Italia! La stanchezza di questi giorni intensissimi comincia a farsi sentire; ci si rilassa un po’ a firmare le cartoline per tutti gli amici rimasti in Italia. Ne scriviamo 460!
Si ride, si è contenti: alla fine anche padre Daniele, responsabile del “Casa Nova”, a cui in questi giorni abbiamo fatto letteralmente girar la testa, si scioglie e sorride.
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9 novembre, Nazareth – Firenze
Sveglia presto, come sempre: si prepara il bagaglio con tutti i “ricordi” da sistemare. Ci si avvia in Basilica per un momento di preghiera personale. Ci siamo solo noi. Alle otto e trenta la S. Messa: don Marco ci ricorda la comunione nella preghiera con i ventidue monasteri di clausura a cui abbiamo scritto. Questa celebrazione è forse il momento più bello ed intenso del pellegrinaggio. C’è un raccoglimento che impressiona, l’emozione è forte. Diversi sono commossi. Ci si confronta con il sì di Maria. Il suo “eccomi” interpella tutti. La preghiera ed il canto continuano a lungo anche dopo la celebrazione, mentre uno per uno ci rechiamo alla grotta, inginocchiandosi nel luogo dell’Annunciazione. Sulla destra, in alto, la “finestrina” del Beato Angelico. Visitiamo la casa di San Giuseppe e poi, attraverso il mercato vecchio, il luogo della sinagoga dei tempi di Gesù. Anche lì leggiamo il Vangelo: Gesù che annuncia a tutti che la profezia si è avverata. Si parte e piove: è una benedizione per questa terra, non piove da aprile. Passiamo dal Monte Carmelo, sostiamo sul mare presso le rovine di Cesarea Marittima, dove pranziamo. Aeroporto di Tel Aviv. Le immagini sacre controllate una ad una, le valigie disfatte, controlli estenuanti. Passiamo infine la dogana e ci si rilassa. Eccoci nuovamente sull’aereo: il clima è gioioso, tutte facce contente: siamo davvero “colmati” di emozioni, ricordi, forse grazie. A Francoforte comincia la festa: si improvvisa la bandierina, sotto gli occhi divertiti del personale dell’aeroporto. Fallisce per un soffio il tentativo, al momento dell’imbarco, di far pronunciare all’altoparlante la mitica frase dei campi a La Vela: “partenza per il mare”. Il piccolo aereo per Firenze è praticamente tutto nostro, con sei malcapitati. Ormai sembra di essere in gita in pullman, fra battute e show dei più esuberanti.
Arriviamo a Firenze e ci si saluta: è un grazie reciproco, intenso e profondo, frutto di una esperienza autentica.
In Terra Santa sulle orme di La Pira
Dopo il «ponte» a due arcate tra Fatima e Mosca, per unire Oriente e Occidente, i giovani dell’Opera La Pira rilanciano dalla Terra Santa il loro impegno di pace. Ripercorrendo le orme del «sindaco santo», dal 5 al 9 novembre, 80 giovani hanno pregato sui luoghi santi, hanno incontrato le autorità civili e religiose e hanno allacciato rapporti di amicizia con giovani ebrei e palestinesi che ci si augura potranno proseguire anche nell’attività dei campi-scuola che l’Associazione organizza da 50 anni in Toscana.
E come faceva il «Professore», prima di partire, si sono rivolti alle claustrali per chiedere il sostegno dell’orazione e ricordare quanto La Pira aveva scritto loro nel Natale 1967, al ritorno da Gerusalemme: «Perché non iniziare proprio da qui, dalla Terra Santa, la nuova storia di pace, d’unità e di civiltà dei popoli di tutta la terra? Perché non superare con un atto di fede religioso e storico, e perciò, anche politico, tutte le divisioni che ancora tanto gravemente rompono l’unità della famiglia di Abramo, per iniziare, proprio da qui, quell’inevitabile moto di pace destinato ad abbracciare tutti i popoli della terra e destinato ad edificare una età qualitativamente nuova della storia del mondo?».
Il punto di partenza del pellegrinaggio è stata la Basilica del S. Sepolcro a Gerusalemme, dove mons. Pietro Sambi, Nunzio apostolico in Israele, ha celebrato il 5 novembre l’Eucarestia nell’anniversario della morte del «Professore», del quale ha tracciato un appassionato ritratto. Dopo cena, nell’incontro informale, il Nunzio ha espresso le sue preoccupazioni per i giovani attratti dagli estremismi e per ambo le parti che sembrano non impegnarsi oggi nella risoluzione del conflitto nell’illusione di essere in grado domani di imporre la pace all’altro.
Poi la visita a Betlemme «assediata» dalle truppe israeliane e l’incontro con P. Ibrahim Faltas e il «Terra Sancta College» dove studiano mille tra bambini e giovani, un quarto dei quali musulmani. E per la prima volta ad un gruppo di cristiani (comprese le ragazze!) si apre ufficialmente anche la moschea dove il gruppo viene ricevuto cordialmente dall’Imam.
Quindi di nuovo a Gerusalemme, con la preghiera sui luoghi sacri, l’omaggio alle vittime dell’Olocausto e l’incontro con la giornalista Emanuela Dviri, una delle voci ebraiche più impegnate sul fronte della pace. Infine la Galilea, con la sosta sul lago di Tiberiade e la Messa celebrata dal patriarca Michel Sabbah nella chiesa del Primato di Pietro, a Tabgha. A Nazareth il gruppo è accolto dal sindaco (un arabo cristiano) e dal vescovo Giacinto Boulos-Marcuzzo, appassionato ed energico difensore della sua gente. Anche qui il ricordo di La Pira carica di speranza ogni incontro, ogni colloquio: nella basilica dell’Annunciazione da pochi giorni è stato collocato un bassorilievo del «Professore». E ai giovani arabo-cristiani che raccontano le loro storie e le loro difficoltà, l’arrivederci in Italia, per un cammino di pace che ci si augura sia solo all’inizio.
E come faceva il «Professore», prima di partire, si sono rivolti alle claustrali per chiedere il sostegno dell’orazione e ricordare quanto La Pira aveva scritto loro nel Natale 1967, al ritorno da Gerusalemme: «Perché non iniziare proprio da qui, dalla Terra Santa, la nuova storia di pace, d’unità e di civiltà dei popoli di tutta la terra? Perché non superare con un atto di fede religioso e storico, e perciò, anche politico, tutte le divisioni che ancora tanto gravemente rompono l’unità della famiglia di Abramo, per iniziare, proprio da qui, quell’inevitabile moto di pace destinato ad abbracciare tutti i popoli della terra e destinato ad edificare una età qualitativamente nuova della storia del mondo?».
Il punto di partenza del pellegrinaggio è stata la Basilica del S. Sepolcro a Gerusalemme, dove mons. Pietro Sambi, Nunzio apostolico in Israele, ha celebrato il 5 novembre l’Eucarestia nell’anniversario della morte del «Professore», del quale ha tracciato un appassionato ritratto. Dopo cena, nell’incontro informale, il Nunzio ha espresso le sue preoccupazioni per i giovani attratti dagli estremismi e per ambo le parti che sembrano non impegnarsi oggi nella risoluzione del conflitto nell’illusione di essere in grado domani di imporre la pace all’altro.
Poi la visita a Betlemme «assediata» dalle truppe israeliane e l’incontro con P. Ibrahim Faltas e il «Terra Sancta College» dove studiano mille tra bambini e giovani, un quarto dei quali musulmani. E per la prima volta ad un gruppo di cristiani (comprese le ragazze!) si apre ufficialmente anche la moschea dove il gruppo viene ricevuto cordialmente dall’Imam.
Quindi di nuovo a Gerusalemme, con la preghiera sui luoghi sacri, l’omaggio alle vittime dell’Olocausto e l’incontro con la giornalista Emanuela Dviri, una delle voci ebraiche più impegnate sul fronte della pace. Infine la Galilea, con la sosta sul lago di Tiberiade e la Messa celebrata dal patriarca Michel Sabbah nella chiesa del Primato di Pietro, a Tabgha. A Nazareth il gruppo è accolto dal sindaco (un arabo cristiano) e dal vescovo Giacinto Boulos-Marcuzzo, appassionato ed energico difensore della sua gente. Anche qui il ricordo di La Pira carica di speranza ogni incontro, ogni colloquio: nella basilica dell’Annunciazione da pochi giorni è stato collocato un bassorilievo del «Professore». E ai giovani arabo-cristiani che raccontano le loro storie e le loro difficoltà, l’arrivederci in Italia, per un cammino di pace che ci si augura sia solo all’inizio.
Claudio Turrini