International Camp 2015 – #CITYINGTHEWORLD: Linking Cities to Unite the World
CAMPO INTERNAZIONALE 2015 #CITYINGTHEWORLD: UNIRE LE CITTÀ, UNIRE LE NAZIONI Città a misura d'uomo Per sua stessa natura, l'uomo amplia costantemente la propria sfera delle necessità, modificando l'ambiente circostante in modo che questo sia in grado di soddisfare i sempre nuovi bisogni che, col progredire dell'età personale e di quella storica, si presentano. Fra queste necessità figura la socialità, intesa come il bisogno connaturato di formare comunità e di vivere in relazione con i propri simili. Dalla prima comunità che è il nucleo familiare, questa si è progressivamente espansa, arrivando ad allargarsi fino a forme più ampie come lo Stato, gruppi di persone notevolmente vasti che si riconoscono in una base etnica, culturale, linguistica e/o religiosa comune. La dimensione della città rappresenta probabilmente l'anello di congiunzione più rilevante tra la micro-comunità della famiglia e la macro-comunità dello Stato, ambiente in cui l'uomo ha la possibilità di aprirsi a realtà anche radicalmente diverse dalla propria, senza però abbandonare la propria identità. La città è poi pensata per essere in se stessa specchio dell'uomo che la abita, con le sue strutture che riflettono i bisogni del cittadino: l'affettività trova spazio nella casa, la necessità di realizzarsi e di stare in salute rispettivamente nel luogo di lavoro e nell'ospedale, la tensione religiosa nel luogo di culto, il desiderio di contribuire alla vita politica della propria comunità nel palazzo comunale. Così intesa, la città non è altro che polis, manifestazione fisica e concreta della volontà comune dei propri cittadini, luogo in cui le differenze personali e collettive possono incontrarsi, capirsi e trovare modi nuovi per convivere nel rispetto reciproco. Quanto questa visione rispecchia la realtà cittadina in cui viviamo? Come percepiamo la nostra città, il nostro paese, la nostra comunità? Dal 2009, per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero di persone che abitano le città è superiore a quello di chi vive nelle campagne, apice di un processo di urbanizzazione che ha coinvolto ormai il 54% della popolazione mondiale. Una simile crescita della realtà cittadina porta inevitabilmente a rimettere in discussione la natura ed il senso del vivere nella città, a fronte di un crescente divario culturale, sociale ed economico che esiste all'interno delle città stesse fra le varie fasce di popolazione. Il diffuso individualismo finisce poi col sacrificare l'idea stessa di collettività all'interno di ogni forma comunitaria, città compresa; il risultato è una nuova tendenza, che vede nella stessa il luogo della solitudine e dell'isolamento. Come vivo, personalmente, la relazione con la mia città e con i suoi abitanti? Quanto mi sento parte di una collettività, e quanto invece tendo a isolarmi? Individualmente, ciascuno di noi ha un potere ed una portata limitati nella risoluzione di determinati problemi, ed un'azione efficace è garantita solo da un impegno comune e da una profonda e consapevole cooperazione. L'impegno sociale, così come quello politico, diventano strumenti unici per vivere attivamente la dimensione della città: il volontariato nell'associazionismo religioso o laicale, o il lavoro all'interno degli organi politici istituzionali, sono veri e propri servizi attraverso i quali il singolo si inserisce in maniera più viva e vera all'interno della propria counità. Mi impegno all'interno della mia comunità di appartenenza? Come? La dimensione politica delle città Anche le singole città possiedono una propria vocazione, più o meno consapevole: una città d'arte, una città di mare, una città di frontiera, ognuna di esse ricopre un preciso ruolo nel panorama mondiale, e i rispettivi cittadini sono chiamati ad aiutare la propria città a scoprirlo e realizzarlo. La vocazione di una città è, in certa misura, anche la sua identità: come un dialogo fra individui si basa sulle rispettive differenze e sul desiderio di scoprirsi l'un l'altro, così l'identità delle singole città permette a queste di entrare in relazione in un vero e proprio dialogo globale in cui il contributo di tutti è essenziale. La crescente globalizzazione ha creato occasioni uniche di conoscenza e dialogo, con la potenzialità di creare una cultura comune mai così aperta. Le città del mondo sono diventate i luoghi in cui può e deve formarsi una cultura da cittadini del mondo: anche per questo, la città non può più essere vissuta o percepita come un recinto in cui rifugiarsi, anzi, essa diventa un luogo in cui aprirsi al mondo. Occorre pianificare un luogo di apertura culturale e religioso, economico e lavorativo, occorre lavorare da un punto di vista politico, sostenere relazioni (tra associazioni, tra istituzioni, tra università, tra aziende, tra persone) che portino il mondo a incontrarsi all’interno della nostra città. Ti riconosci in questa visione delle città? Quali pensi possano essere gli strumenti per costruire relazioni fra città diverse? Le relazioni tra città e mondo come presentate dal processo di globalizzazione portano in sé un grande potenziale, ma anche, paradossalmente, il rischio di chiudere le città al dialogo. Come sottolineava Saskia Sassen, la creazione della “città globale” rischia di forzare l'evoluzione da Città a Metropoli, ambiente capace di intrecciare relazioni di vario tipo a livello mondiale, ma che finisce con l'essere sradicata dal proprio contesto locale. In reazione, molte città, preoccupate di mantenere le rispettive identità, si chiudono a qualsiasi forma di confronto e dialogo come forma estrema di protezione, in un'autoreferenzialità persino più dura che in passato. Come percepisco questo rischio della globalizzazione? Esistono altre prospettive di dialogo fra le città? La dimensione religiosa delle città Fra le dimensioni umane coinvolte dalla realtà cittadina non è esclusa quella religiosa: molti centri urbani sono nati proprio attorno a luoghi di alto valore spirituale (un tempio, un monastero, un santuario, una montagna o un fiume considerati sacri, ecc). Proprio per questo, fin dall'inizio della sua esistenza, la città ha sempre visto la compresenza, più o meno pacifica, di due poli ugualmente importanti ed influenti: quello politico e quello civile. Di più, la città in quanto tale porta con sé un profondo valore spirituale, diventando spesso un soggetto capace di dialogare con Dio come e più dell'individuo stesso, specie nelle religioni abramitiche, in cui la città diventa luogo principe in cui Dio incontra il proprio popolo. Così, nell'ebraismo Gerusalemme diventa il simbolo stesso della religione e dell'identità ebraiche, la “Città di Dio” che si fa incarnazione del legame fra il credente e il suo Signore (“Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra, mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia” Sal 136,5-6). Nel cristianesimo, l'immagine di Gerusalemme viene ripresa e trasfigurata in una realtà del tutto spirituale, apocalittica, che mantiene però la sua funzione di luogo di incontro con Dio (“Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo [...] Udii allora una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed Egli sarà il Dio-con-loro!” Ap 21,2-3). Nell'islam la città ha un grande valore spirituale, non solo luogo di incontro fra Dio e i credenti, ma segno dell'amore e della cura del Signore per loro, un dono che ha la funzione di unire i fedeli, di dare loro un'identità, un'appartenenza comune, e protezione (“Ignorano forse che abbiamo dato loro una Terra Santa, mentre tutto attorno la gente è depredata?” XXIX,67). Qual è l'identità religiosa della mia città? Come la vivo? Come la città è luogo privilegiato per l'incontro con Dio, però, essa può anche diventare luogo degli idoli, in cui l'uomo fugge da Dio e si allontana da Lui seguendo altre preoccupazioni e altri richiami. Lo stesso luogo sacro, che spesso è segno di appartenenza e identità per un migrante o uno straniero che ritrova in esso una “parte di casa”, rischia di diventare semplice “museo” nella città, opera d'arte che perde il suo senso e il suo valore originali. La città che si fa metropoli, poi, impone un ritmo accelerato e frenetico ai propri abitanti, rendendo di fatto difficile, se non impossibile, trovare il tempo, il silenzio e il raccoglimento necessari alla preghiera. Nel mio vivere la città, che spazio ha la dimensione religiosa? La città può essere luogo di vicinanza con Dio, o mi distoglie invece dal mio rapporto con Lui?
International Camp 2015
#CITYINGTHEWORLD:
Linking Cities to Unite the World
Man-sized city
Because of the very human nature, people constantly broaden their sphere of needs by changing the world around them in such a way so that it can satisfy new demands that arise as a result of the historical progress and during one’s own life. Among these needs we can see sociality, understood as a natural need to form communities and to live interacting with other similar beings. Starting from the family, community gradually evolved, growing to larger forms like Nations, relevantly big groups of people that share a common ethnic, cultural, linguistic and/or religious base. The city dimension represents probably the most relevant nexus between the family micro-community and the State macro-community, it is an environment where people have a chance to get to know realities that might radically differ from their own without abandoning their own identity. The city per se is supposed to be a sort of a mirror of the people inhabiting it, with its structures reflecting the citizens’ needs: emotional bonds and love corresponding to the home, the need to achieve success and to stay healthy respectively to work and to the hospital, religious tension to places of worship, the desire to make a contribution to the political life of one’s community to political and administrative buildings. If understood in this way the city is basically a polis, a physical and concrete manifestation of the common will of its citizens, a place where personal and collective differences can meet, talk and learn to live together respecting each other.
To what degree does this view reflect the city where we live? How do we perceive our city, our country, our community?
Since 2009, for the first time in history, the overall number of people living in cities is superior to the corresponding number of people staying in the countryside. This is the culmination of the urbanization drive that has involved so far as much as 54% of the world population. A similar unprecedented growth of cities unavoidably makes us reconsider the nature and the meaning of living in a city in front of widening cultural, social and economic gaps that exist inside cities between different straits of population. The widespread individualism ends up in the long run sacrificing the very idea of collectivity bore in every community-like form, including the city, the final result being a new trend that defines the city as a place of solitude and isolation.
How do I personally interact with my city and with its citizens? To what degree do I feel myself part of a community and to what point do I try to isolate myself?
Individually everyone of us is limited in their ability and capacity to solve certain problems, and an efficient action can be achieved only by common and coordinated effort and an intense and comprehensive cooperation. Social and political commitments become a unique tool to actively engage in city life, for example by volunteering in religious or secular organizations, or by working in political institutions – these are indeed the fittest means to play a truly important role inside one’s community.
Do I have any commitments in my community of belonging? What do they consist in?
The political dimension of the city
Every city has its own specific appearance, more or less defined: a city of art, a seaside city, a border city – every one of them plays a precise and clear-cut role in the global landscape, and the respective citizens are called to help their city to realize this vocation and fulfil it. The appearance of the city is in a certain way its identity as well: just as the dialogue between individuals is based on their respective differences and on their desire to find out more about each other, the existence of different city identities makes it possible to establish a full-fledged global dialogue, where everyone’s contribution is essential. The ever-accelerating process of globalization has created unique opportunities for knowing and dialogue, with the unprecedented potential to create a common culture. The cities of the world have become places where a common culture of world citizens can and must be forged. This is another reason why cities shall not be perceived as closed areas where to hide oneself in, on the contrary, they’re gradually becoming places where one should open oneself to the world. We need to create places of cultural and religious, economic and working openness; we should enforce our political commitment, establish and maintain relations between organizations, institutions, universities, firms and people, pushing different parts of the world to meet each other inside the city.
Do you recognize yourself in this view of the city? What according to you could be the tools to build relations between different cities?
Even though relations between cities and the world as seen in the process of globalization represent a big potential, they constitute at the same time a risk to limit cities in their willingness to establish new dialogues. As Saskia Sassen, among others, points out in her works, the creation of a “Global City” might excessively speed up the evolution from City to Metropolis – an environment able to foster new relations of various types on the global level, but ending up being eradicated from its local context. As a reaction, many cities worried about the preservation of their respective identities employ extreme methods of protection by closing themselves to any type of debate and dialogue in a never before witnessed isolationism.
How do I perceive this risk of globalization? Are there any other possibilities of dialogue between cities?
The religious dimension of the city
Among the human dimensions involved in the city life the religious one shall not be excluded: indeed, a great number of urban centres are born around places of high spiritual value (a temple, a convent, a sanctuary, a mountain or a river considered sacred). Particularly for this reason the city from the very beginning, especially in the Western world, has seen a more o less pacific coexistence of two equally important and influential poles: the political one and the civil one. Moreover, the city per se holds a profound spiritual value, frequently becoming a subject capable of dialogue with God in a higher degree than a person, especially in Abrahamic religions, where the city becomes the main place where God meets His people. In Judaism, for example, Jerusalem becomes the symbol of Jews’ religion and identity, the “City of God” that embodies the link between the believer and God (“If I forget you, Jerusalem, let my right hand forget its skill, let my tongue stick to the roof of my mouth, if I do not remember you, if I do not set Jerusalem above my highest joy” Pss 136, 5-6). In Christianity the image of Jerusalem is substituted by a purely spiritual and apocalyptic perspective that, however, retains its role as a place to meet God in (“And I saw the holy city, the new Jerusalem, coming down out of heaven […]. And I heard a loud voice from the throne saying: “See, the home of God is among mortals. He will dwell with them; they will be His peoples, and God Himself will be with them;” Ap 21, 2-3). In Islam the city has a great spiritual value, not only as a place where God and the believers meet, but as a sign of the Lord’s love and care towards His people, a gift that has the purpose to unite all followers, to give them a common identity and protection (“Have they not seen that We made [Makkah] a safe sanctuary, while people are being taken away all around them?”XXIX, 67)
What is the religious identity of my city? How do I perceive it?
The city is a privileged place where to meet God, but under certain conditions it can become a place of false idols, where people escape from God and distance themselves from Him, remaining captivated by other worries and other desires. The same sacred place that often is a sign of identity and belonging for a migrant or a foreigner that find in it a “part of their home”, brings along the risk of becoming a simple “museum” in the city, a sort of a piece of art that loses its meaning and its original value. Besides, a city that becomes a metropolis imposes a chaotic and agitated pace to its dwellers, making it really difficult if not impossible to find necessary time, silence and concentration for prayer.
What role does the religious dimension play in my life in the city? Can the city be a place of affinity with God, or does it push me further from Him?