Pubblichiamo un estratto del discorso di Giorgio La Pira alla Conferenza di Stoccolma per la pace nel Vietnam del 1969. La riflessione riguarda, nello specifico, l’inizio dei negoziati per la cessazione delle ostilità in Vietnam, ma ciò che oggi è interessante notare nelle parole di La Pira è la sua capacità di leggere gli avvenimenti della storia alla luce di un progetto di pace, della profezia di Isaia. Un progetto che rende, nell’era tecnologica ed atomica, la pace e il negoziato inevitabili.
Confrontandosi sulle tematiche ambientali durante il Campo Internazionale di quest’anno, i giovani partecipanti hanno spesso fatto riferimento al concetto lapiriano del “negoziato inevitabile”, declinandolo secondo i tempi e le esigenze dei cambiamenti climatici e degli sforzi politici per arrestarli. Queste parole dunque, possono e devono essere lette, al di là della contingenza storica in cui furono pronunciate, come un’“ipotesi di lavoro” e “metodo” per approcciare le grandi questioni che affliggono oggi la famiglia umana.
Perché questa guerra? Non poteva essere accolta prima la richiesta della cessazione dei bombardamenti e non poteva avere così inizio prima il negoziato per l’avvio della pace? […]
Perché “perdere” tre anni? Ho Chi Minh e Van Dong ci dissero (a Primicerio ed a me): 1) cessino i bombardamenti; 2) si applichino gli accordi di Ginevra del 1954; 3) si riconosca il FLN.
Ecco – ci dissero – le condizioni per l’inizio del negoziato! Non siamo allo stesso punto? Perché non si poteva iniziare tre anni or sono il negoziato che si inizia oggi? Tre anni (anzi, circa quattro) davvero “perduti” per la storia del mondo! E quale bilancio pauroso, da tutti i punti di vista (storico, politico, umano, sociale, nanziario, economico, culturale e così via), di questi tre anni!
Ed infatti: invertita paurosamente la direzione della storia (avviata da Giovanni XXIII, Kennedy e Krusciov verso il porto del disarmo, del negoziato, della promozione del terzo mondo e della pace); non meno di 120 miliardi di dollari inutilmente spesi (per distruggere e non per edi care […]); 50.000 giovani americani uccisi (perché?); un popolo ed una nazione durissimamente colpiti (quanti e quali bombardamenti e quante e quali distruzioni di uomini e di cose!); tutti gli equilibri sociali, politici, militari, economici, nanziari, culturali dell’America e del mondo costituiti ed ereditati da Kennedy paurosamente spezzati […]; insomma un “punto di Archimede” – la guerra del Vietnam – a partire dal quale la terra intera è stata paurosamente scossa e portata sino al limite apocalittico della guerra totale e della totale distruzione.
Poi, miracolosamente, la pressione dei popoli e dei giovani vinse: venne il 31 marzo 1968 (la conferenza di Stoccolma ebbe luogo il 25 marzo), Johnson si ritirò: la stella della speranza riapparve nel cielo del mondo: venne il 2 aprile; Parigi apparve sull’orizzonte del mondo come il “luogo” della pace futura.
Da allora, malgrado mille dif coltà, la speranza del negoziato è cresciuta; e la data del 1° novembre 1968 (cessazione dei bombardamenti) sarà ricordata dai popoli come l’inizio del nuovo corso (dopo l’inversione di rotta durata molti anni) della storia del mondo: quel corso verso le Nuove Frontiere iniziato da Giovanni XXIII, Kennedy e Krusciov e che deve condurre i popoli all’inevitabile porto di questa età spaziale; porto nucleare, scienti co, tecnico e demogra co della storia: il porto del negoziato, del disarmo, della promozione e della pace!
Questa nuova Conferenza di Stoccolma è quasi la registrazione (con le sollecitazioni e le pressioni che la situazione richiede per impedire la stagnazione delle trattative) di questo nuovo inizio dell’inevitabile corso della storia presente del mondo.
Quale? La risposta è evidente: quello che conduce al negoziato, al disarmo e alla pace non solo per il Vietnam, ma per il mondo intero. Il negoziato di Parigi, infatti (de nitivamente cominciato il 18 gennaio 1969), non investe solo il problema particolare del Vietnam: esso investe, inevitabilmente, il “problema totale”, il problema maggiore ed in certo senso “unico” del mondo, quello del disarmo: da esso, infatti, sono dipendenti i problemi della conversione delle spese di guerra in spese di pace e della “coesistenza paci ca” fra le nazioni di tutta la terra.
Che il problema del disarmo (dalla equilibrata descalation nucleare sino al disarmo universale e completo) sia “il problema del mondo” (come Kennedy e Krusciov videro con tanta lucidità ed in vista del quale iniziarono un comune cammino politico) risulta evidente dal fatto che l’equilibrio del terrore è ormai pervenuto al punto limite, al “punto di rottura”, al punto “apocalittico”, al di là del quale non è più possibile andare se non si vuole (per errore, per incidente, per follia) la distruzione non solo del genere umano, ma dello stesso pianeta, se non si vuole una “esplosione apocalittica” di dimensioni cosmiche.
Non bisogna infatti dimenticare i “dati” nucleari: come Pauling afferma, oltre 500.000 megatoni disponibili già nei due massimi arsenali nucleari (400.000 megatoni rappresentano il limite massimo per la “morte della terra”, come si dice con terminologia tecnica): bombe orbitali con possibile bombardamento della terra da una stazione spaziale, mediante un treno spaziale!
L’equilibrio del terrore può andare più oltre? Non è esso, ormai l’equilibrio dell’insicurezza totale non solo delle due massime nazioni nucleari, ma altresì di tutte le nazioni. Ecco “il problema del mondo”: il problema, in certo senso, “unico” del mondo: porre ne all’equilibrio del terrore (la politica “dell’equilibrio del terrore” è fallita proprio nel Vietnam) e per ciòcominciare (meglio, ricominciare) il cammino che conduce, in maniera equilibrata, al disarmo generale e completo.
Questo problema del disarmo condiziona, subordinandoli a sé, tutti gli altri problemi e tutti i negoziati (partendo da quello del Vietnam); esso è la premessa maggiore di un sillogismo storico e politico che ha per conclusione o la ne apocalittica del mondo o la pace universale, millenaria, dei popoli; altra reale alternativa – almeno in prospettiva – non c’è: l’unico realismo storico e politico è – data la odierna situazione nucleare, spaziale, tecnica, demogra ca del mondo – “l’utopia” profetica (di Isaia) della pace universale (non è un “sogno” ha detto Paolo VI nel messaggio per la pace del 18 dicembre 1968: è il solo realismo della storia e della politica presente del mondo).
Il genere umano dispone ormai “del potere del nulla”: quale scelta esso farà? Questo il suo fondamentale – ed in certo senso unico – problema: sceglierà la morte o la vita? L’annientamento o la edi cazione?
La speranza biblica e cristiana ci permette di dire che esso – sotto l’impulso di grazie del Padre Celeste – sceglierà (lo speriamo!) la vita: che siamo cioè non alla ne del mondo, ma all’alba di una interminabile giornata storica nuova nella quale diverrà realtà storica la visione profetica – l’utopia – di Isaia. […]
“E sarà alla ne dei giorni: sarà saldo il Monte della Casa del Signore sulla cima dei monti ed elevato più delle colline. Tuttiipopoliaf uirannoversodiesso,andrannopopolinumerosie diranno: – andiamo, saliamo al Monte del Signore, verso la Casa del Dio di Giacobbe, e ci insegnerà le Sue vie, e noi cammineremo sui Suoi Sentieri, perché da Sion uscirà la legge e la parola del Signore di Gerusalemme.
Il Signore giudicherà i popoli e farà da moderatore fra le genti numerose; esse faranno delle loro spade aratri e delle loro lance falci: e un popolo non brandirà più la spada contro un altro popolo e non impareranno più l’arte della guerra.
Casa di Giacobbe, orsù, cominciamo nella luce del Signore.”
Poesia? Sogno? No: inarrestabile avanzata storica del mondo. Spes contra spem!