AMAZZONIA: IL CASO SERIO DELLA QUESTIONE AMBIENTALE

mons. Domenico Pompili

  • Premessa. Un Sinodo per la vita del mondo

Il Sinodo sull’Amazzonia, ispirato da papa Francesco, e svoltosi a Roma nell’ottobre scorso, è stato un viaggio nel cuore della terra ferita. Tuttavia, come diceva l’Instrumentum laboris, l’Amazzonia, è “pars pro toto” (n.  37), cioè un paradigma, valido per ogni angolo del mondo. Ciò premesso, vorrei evocare un film: Mission di Roland Joffè (1986). Siamo in sud America, nell’anno del Signore 1750, sopra le Cascate dell’Iguazù al confine tra Argentina, Brasile e Paraguay. Non è evidentemente una ricostruzione storica attendibile anche perché sarebbe stato difficile racchiudere nello spazio di due ore la varietà di avvenimenti che hanno caratterizzato la storia delle “riduzioni” del Paraguay, durata più di 150 anni. Ci sono, in ogni caso, tre elementi che danno a pensare: la violenza, la musica, l’Eucaristia.
Il primo è la violenza. Si impone sin dall’inizio, a partire dall’omicidio del gesuita che si era spinto in mezzo ai Guaranì e viene crocifisso e gettato vivo nel fiume. Poi c’è il cacciatore di schiavi, Rodrigo Mendoza, che uccide per gelosia in un duello pubblico suo fratello. Quindi, nel finale c’è la battaglia che lascia sul campo Rodrigo che dopo la conversione si chiama Gabriel, in omaggio al suo salvatore, p. Gabriel. Questi, a differenza di Mendoza non esiterà ad imbracciare le armi, si fa strada tenendo in mano soltanto l’ostensorio del Santissimo Sacramento.
Il secondo elemento è la musica. Immortalata dalla colonna sonora che ha un andamento fortemente drammatico, in cui si mescolano la solennità dei cori liturgici, le percussioni etniche e le chitarre spagnole, a simbolizzare l’intreccio delle varie culture. La musica diventa così il medium che veicola il messaggio cristiano, avvalendosi del talento naturale, così diffuso tra i giovani del popolo indigeno.
Il terzo elemento è l’Eucaristia che pure in un contesto assai diverso da quello occidentale, mostra il cuore della fede cristiana, cioè la morte e resurrezione di Cristo.
Tornando al Sinodo, mi sembrano tre le indicazioni di cui tener conto.
La prima è che la violenza è l’istantanea del mondo. L’Amazzonia, in particolare, è un donna e una donna stuprata, di cui raccogliere il grido. Solo così si risveglia l’evangelizzazione: al grido di dolore del popolo che – come Israele – è ridotto in schiavitù e anela alla libertà. Non si produce annuncio efficace nel chiuso di atmosfere rarefatte o lontano dalla mischia, ma soltanto a contatto con il dolore del mondo che attende di essere redento dalla croce, cioè dall’amore di Cristo Gesù. Soltanto in questo modo prende piede una teologia della vita che non lascia nulla fuori dall’azione di Dio.
La musica è la seconda indicazione da raccogliere, intorno alla questione del linguaggio. Si è detto della pressione delle sette, nonostante la secolarizzazione. In realtà, si coglie una rinascita del sacro perfino in forme selvagge che incrociano interessi politici e sociali, in nome della separazione tra fede e giustizia. La musica con l’oboe di p. Gabriel delinea una forma di comunicazione che non rinnega la dottrina, ma la fa gustare interiormente attraverso l’esperienza della sensibilità umana. Come ha detto un giorno il santo Card. Newman: “il nemico della fede non è la ragione, ma l’immaginazione”. Una fede che non sa parlare a tutto l’uomo e a tutti gli uomini ha perso gran parte della sua attrattività.
Infine, l’Eucarestia richiama la struttura sacramentale della Chiesa cattolica che si origina sempre dall’ascolto della Parola, ma ha bisogno di gesti concreti e percepibili attraverso cui passa la grazia di Dio. Per garantire tale sacramentalità ci vuole una ministerialità diffusa, considerate le distanze e le difficoltà ambientali. Qui bisogna cominciare dalle donne che sono indiscusse protagoniste quando si tratta di trasmettere il senso radicale della vita. E’ tale contesto pratico di servizio alla comunità cristiana che suggerirà le strade da intraprendere per garantire a tutti il diritto ai sacramenti. Non soltanto il battesimo, ma tutti e sette. Nessuno escluso.
Chi offre le coordinate per interpretare prima e poi trasformare la questione dell’Amazzonia, è l’Enciclica di papa Francesco intitolata “Laudato sì”. E’ a partire da essa che è possibile sviluppare alcune intuizioni che tradotte nel concreto possono rappresentare la speranza rispetto alla drammatica situazione in cui versa “la casa comune”.

  1. Un messaggio scomodo

“Tutto è connesso” (LS16) è la frase emblema della Laudato Sì, l’assioma dal quale tutta la proposta teologica, ma anche pastorale, di Papa Francesco può essere compresa. Un messaggio chiaro e potente, in un’epoca frammentata che ci ha reso disumani e fragili, ma anche uno slogan che rischiamo di ripetere un po’ a pappagallo, se non ci sforziamo di intenderne tutte le implicazioni, tutt’altro che scontate. Perché il significato non è ‘tutto è connesso là fuori’, ma ‘io sono legato a ogni persona e a ogni cosa, implicato direttamente, che voglia riconoscerlo o no’. Siamo preparati a comprendere cosa significa, e ad assumercene le conseguenze? A renderci conto che in nessun modo possiamo chiamarci fuori da quanto sta accadendo nel mondo? E se anche possiamo convenire su una visione ‘ecologica’ dell’ambiente, sappiamo riconoscerne la reale portata? “Infatti, non si può proporre una relazione con l’ambiente a prescindere da quella con le altre persone e con Dio” (LS119). Siamo poi disposti a uscire dalle nostre comode letture a compartimenti stagni? Un discorso sull’ambiente, uno sulla tutela della vita, uno sugli immigrati… Ciascuno magari con il suo esperto, che in conferenza dice cose interessanti da ascoltare: poi si torna a casa e tutto resta come prima. Siamo disposti ad ascoltare quanto dice il Papa: che la tutela dell’embrione e quella del migrante sono due facce della stessa questione (LS117, 120), ovvero la custodia della vita in tutte le sue forme, specie le più fragili? E siamo pronti, di nuovo, ad assumercene le implicazioni ? Non è un trattato teorico la Laudato Sì, ma una visione integrale (teologica, antropologica, esistenziale) del cosmo e dell’essere umano nella loro intima relazione;  di conseguenza, un pungolo che ci stana dalle nostre comodità, dai nostri luoghi comuni, e ci strappa il paraocchi con il quale guardiamo ciò che ci sta intorno. È un testo che non si accontenta di un assenso passivo: non ci chiede di essere d’accordo, ma di entrare in una comprensione della realtà che non può non metterci in movimento. Ascoltare ora significa domandarsi, cosa possiamo cambiare, da subito.

  1. Elaborare un lutto e andare oltre

Onora il padre e la madre, recita il quarto comandamento. Eppure nel XX secolo noi abbiamo decretato la morte di Dio, prendendo per buono l’annuncio di Nietzsche: la morte di Dio come condizione della nascita del superuomo. D’altra parte lo abbiamo provato tutti: come sentirci al centro del mondo, potenti e invincibili, quando abbiamo un padre che ci dice cosa dobbiamo fare, e soprattutto, conoscendoci, vede benissimo quali sono i nostri punti deboli? 
Il ‘parricidio’, anche solo simbolico, ha prodotto però un grande disorientamento, come è ormai evidente. Le forme povere di una cultura senza padri sono state messe a nudo dalla psicanalisi (pensiamo ad autori come Zoja e Recalcati) che ha  ricostruito le sue tristi implicazioni: la società della ‘evaporazione del padre’ è una società infantile, egocentrica, capricciosa, che tratta ogni cosa come un giocattolo, che quando ha stancato si rompe. Ma anche le madri non se la passano troppo bene. In particolare la madre per eccellenza, il simbolo della vita in ogni tempo e in ogni cultura: madre terra. Sì, perché dopo Dio padre la nostra ribellione si è estesa alla madre terra. La natura si prende cura di noi perché noi facciamo altrettanto. Ma invece di gratitudine e custodia abbiamo esercitato dominio e sfruttamento, per soddisfare i nostri capricci.  Abbiamo pensato che i vincoli di rispetto richiesti da Dio padre e dalla madre terra fossero un inutile giogo alla nostra libertà, un laccio di cui liberarsi, un inutile freno a una potenza in continua espansione. Ma così facendo abbiamo immiserito noi stessi, creando un mondo disumano e un ambiente invivibile. Questa autocritica va fatta, ma non per piangerci addosso. È solo il punto di partenza e non di arrivo. Consapevolezza e responsabilità sono il cammino cui l’enciclica ci invita.

  1. Un invito inclusivo, a tutti gli uomini di buona volontà 

L’enciclica è un messaggio rivolto a tutti: non solo agli specialisti, nel gergo astratto, impersonale, ipertecnico comprensibile ai pochi esperti, ma a tutti noi, perché siamo tutti abitanti della casa comune. Dall’astrazione esclusiva alla concretezza inclusiva, davvero un  tratto qualificante di questo invito. Un invito che non è neppure rivolto solo i cristiani: quello sulla cura della casa comune è il discorso più inclusivo, nessuno può chiamarsi fuori: come la Pacem in terris di Giovanni XXIII, anche LS è rivolta “a tutti gli uomini di buona volontà”. E, infatti, è stata presa molto sul serio persino in ambienti totalmente laici, e a livello mondiale. Tuttavia per noi che cerchiamo di credere ha un significato particolare. Siamo nell’anno giubilare voluto da Papa Francesco. La creazione è il primo passo dell’alleanza tra Dio e l’uomo, ed è anche un ‘luogo strategico’ della Misericordia. Questa parola compare solo in una volta in LS, in un passaggio che però è denso di significato: “Ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre, che le assegna un posto nel mondo. Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e in quei pochi secondi di esistenza, Egli lo circonda con il suo affetto. Diceva san Basilio Magno che il Creatore è anche «la bontà senza calcolo», e Dante Alighieri parlava de «l’amor che move il sole e l’altre stelle». Perciò, dalle opere create si ascende «fino alla sua amorosa misericordia » (LS 77)
A partire da queste premesse, propongo un breve percorso che sottolinea tre passaggi dell’Enciclica, 3 sottolineature dentro questa interconnessione universale, che vogliono essere altrettante linee per un cammino educativo che non dobbiamo mai stancarci di intraprendere, sostenendoci a vicenda.

  1. IL DENTRO E IL FUORI

  Nell’essere espressione della Misericordia di Dio e della sua tenerezza verso di noi,  “l’universo non è sorto come risultato di un’onnipotenza arbitraria, di una dimostrazione di forza o di un desiderio di autoaffermazione: la creazione appartiene all’ordine dell’amore” (LS 77). Dunque “suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio” (LS 84). Papa Francesco passa dal piano della creazione a quello personale, perché tutto è connesso: il creato è luogo di un rapporto personale con Dio e fa anche da cornice e supporto alle nostre memorie più intime, sulle quali si regge la nostra identità: “Chi è cresciuto tra i monti, o chi da bambino sedeva accanto al ruscello per bere, o chi giocava in una piazza del suo quartiere, quando ritorna in quei luoghi si sente chiamato a recuperare la propria identità” (ivi). 
La creazione non è materiale ‘là fuori’ a nostra disposizione, ma dialoga profondamente con la nostra interiorità. Non è il setting delle nostre performances, ma l’interlocutore di un dialogo che ci muove, ci fa pensare, ci aiuta a capire chi siamo (come sempre accade in ogni comunicazione autentica). Esteriorità e interiorità in dialogo costante. La vera contemplazione non è mai passiva ma è principio di interrogazione, stimolo all’interiorità, risveglio dello spirito che fa respirare tutte le dimensioni del nostro essere: corpo, cuore, mente. Invito a una circolarità tra esteriorità e interiorità senza la quale perdiamo profondità, capacità di pensiero, libertà. È il movimento che fa scrivere a Leopardi, davanti a un cielo stellato:
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito Seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?”.
O cha fa riconoscere a Kant, nella celebre conclusione della Critica della ragion pratica:  
Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”.
Il Vangelo è scritto anche negli alberi, nei ruscelli, nelle stelle. Ricordarcene ogni giorno farebbe tanto bene alla natura e  a noi stessi.

  1. LA PIENEZZA E IL LIMITE

In Evangelii Gaudium 222 Papa Francesco afferma che ‘vi è una tensione bipolare tra la pienezza e il limite’. Ciò che la logica e la razionalità vorrebbero contrapporre, forma una unità dinamica nella prospettiva della Misericordia, che è vera mediatrice tra la pienezza e il limite. Dobbiamo giocarci una pienezza nel limite. Non far finta di non aver limiti. Non dobbiamo chiederci qual è l’ideale, il dover esser cui tendere, ma qual è il passo possibile verso la pienezza che il mio stesso limite mi indica come orizzonte. Il limite non va cancellato per soddisfare la volontà di potenza, ma riconosciuto e oltrepassato per ascoltare il desiderio di pienezza. Non è sempre facile distinguere tra queste due spinte: per questo il discernimento, individuale e comunitario, è così importante. Alla natura si comanda solo ubbidendole, diceva Francesco Bacone: è la natura stessa che ci educa all’ascolto e al senso del limite. La natura è madre e maestra, ci nutre e ci educa. “Troverai di più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le pietre ti insegneranno ciò che non si può imparare da maestri” diceva San Bernardo. Dimenticando di ascoltare e rispettare la natura, che pone limiti al nostro manipolare, oggi abbiamo perso il saper fare della concretezza, che ė materia resa viva dallo spirito. Abbiamo disimparato a usare le mani per la pace, per edificare, per nutrire e prendersi cura. Non sappiamo più accarezzare perché   non sappiano potare una pianta, ripulire il letto di un fiume, soccorrere un animale ferito, accarezzare senza violare. La nostra mano è divenuta rapace o respingente, perché tutto è connesso. Una mano che si sporge fuori per arraffare e tornare sempre a noi stessi, e non sa più tendersi verso l’altro e l’oltre, è alla fine una mano infelice. Ciò che va riscoperta è una reale reciprocità: lasciarsi interpellare realmente, entrare in un legame di interdipendenza, di responsabilità, di cura. “Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura” (LS67). Questo significa riconoscere una articolazione, un rimando costante tra ciò che è piccolo e ciò che è grande, tra il visibile e l’invisibile, tra il finito e l’infinito.  
Non dobbiamo temere allora che i gesti piccoli siano insignificanti, perché i frutti eccedono sempre la logica della progressione geometrica e del calcolo: pensiamo al granello di senape ‘che quando viene seminato suo terreno è il più piccolo di tutti i semi’, ma che poi cresce  così tanto che ‘gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra’ (Mc 4, 32-34). La proposta di un nuovo stile di vita conseguente è contraddistinta da una sobrietà non deprimente: Non la decrescita, ma la pienezza.

  1. L’INDIVIDUALE E IL SOCIALE

Se tutto è connesso, noi siamo relazione prima che individui. E se questo è vero,  la qualità della nostra vita e della nostra convivenza dipende dalla qualità delle relazioni. Papa Francesco ci ricorda  che anche il mondo che abitiamo è fatto di relazioni, connessioni, dialoghi e che la salute della terra dipende dalla sostenibilità e fecondità di questi rapporti. C’è Misericordia quando faccio capire al fratello che io e Dio non possiamo vivere senza di lui. Da qui capiamo come sia impossibile una risposta individuale, o procedurale-astratta, alle drammatiche sfide che il nostro tempo ci pone. ‘Le esigenze di quest’opera saranno così immense che le possibilità delle iniziative individuali e la cooperazione dei singoli, individualisticamente formati, non saranno in grado di rispondervi. Sarà necessaria una unione di forze e una unità di contribuzioni. La conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria’ (LS219). Novità di questo messaggio papale è l’aver saputo coniugare il tema della giustizia sociale con il tema dell’ecologia, finora trattati in modo separato. Siamo stati creati per amare (LS58). Solo questa consapevolezza resa vita vissuta pụ contrastare la disumanizzante cultura dello scarto, che colpisce tanto le persone quanto le cose (LS22). Perché ‘Ecologia umana ed ecologia ambientale, cura della natura e cura dei fratelli e sorelle fragili camminano insieme’ (LS64).  Questa conversione di approccio operata da Francesco mostra come la cura dell’umanità che abbisogna di liberazione dall’oppressione, dall’ingiustizia, dalla violenza, interseca sempre il rispetto della terra, del lavoro dell’uomo e della sua “cultura”, della salvaguardia del creato. E pazienza se tutto questo pụ infastidire coloro per i quali, come dice papa Francesco, “la vita umana pesa meno di petrolio e armi”. Il legame sociale non è solo orizzontale con i nostri contemporanei, ma anche verticale tra le generazioni. C’è un proverbio degli indiani d’America che dice : Noi non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli. Una connessione nel tempo oltre che nello spazio, un richiamo in più alla responsabilità e alla cura.
Conclusione provvisoria: Essere consapevoli, per camminare nella libertà 
Concludo riportando un breve stralcio di un’intervista rilasciata a La Croix da Edgar Morin, influente pensatore contemporaneo, laico, tra i più importanti interpreti della complessità, il quale a sorpresa ha dichiarato che la religione non solo non è morta, ma, purificatasi, oggi ha un ruolo fondamentale da svolgere: «Tutti gli sforzi per sradicare le religioni sono completamente falliti. Le religioni sono delle realtà antropologiche. Il cristianesimo ha conosciuto una contraddizione fra alcuni suoi sviluppi storici e il suo messaggio iniziale, evangelico, che è amore degli umili. Ma, quando la Chiesa ha perso il suo monopolio politico, una sua parte ha ritrovato la sua fonte evangelica. L’ultima enciclica (Laudato sì) è integralmente un ritorno alle origini evangeliche. I cristiani, quando sono animati dalla fonte della loro fede, sono tipicamente delle persone di buona volontà, che pensano al bene comune. La fede può essere un parapetto contro la corruzione di politici e amministratori. La fede può dare coraggio. Se in un’era virulenta come la nostra, le religioni torneranno al loro messaggio iniziale, in particolare l’islam, poiché Allah è il Clemente e il Misericordioso, potranno comprendersi. Oggi, per salvare il nostro pianeta davvero minacciato, il contributo delle religioni non è superfluo. Quest’enciclica ne è una manifestazione eclatante”.